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L’opera d’arte deve essere unica? Una delle opere d’arte più famose al mondo, vista da milioni di persone ogni anno, si trova qui a Londra alla Tate Modern ed è un falso, o meglio è la replica in serie di un originale. Quindi non tecnicamente un falso, ma in un certo senso un falso storico. Ho da poco finito di rileggere un saggio in inglese che un paio di anni fa mi era piaciuto moltissimo e che tra vari argomenti parla anche dell’unicità dell’opera d’arte. 

Quando si parla di opera unica si fa riferimento a un’opera realizzata in un solo esemplare. Delle eccezioni a questa definizione possono essere fatte per le sculture e le fotografie che fino a 9 esemplari vengono considerate comunque opere uniche. L’unicità però di un’opera non è in realtà mai davvero esistita nella storia, o almeno in molti casi è venuta a mancare. 

Fountain di Marcel Duchamp

Il caso dell’opera alla Tate è un esempio. E mi riferisco al lavoro Fountain di Marcel Duchamp del 1917. Si tratta di un orinatoio capovolto con l’aggiunta di alcuni segni di penna sul lato, la firma “R Mutt, 1917″. Nel concetto è davvero complessa. Duchamp con i suoi ready made ha sfidato infatti fin dagli inizi la stessa definizione di arte e ne ha completamento modificato il significato e la funzione. In questo caso in particolare, facendo contemporaneamente rivalutare la forma e la funzione di un oggetto che era ed è quotidiano per circa la metà della popolazione mondiale. Eppure nessuno ha visto l’originale per un secolo.

Una copia come vi dicevo è alla Tate Modern di Londra. Un’altra però si trova alla Galleria Nazionale d’arte Moderna di Roma. Un’altra ancora al Centro Pompidou di Parigi. Tutte queste repliche che sono 15 in totale sono state realizzate da Duchamp stesso negli anni ‘60.. Si racconta che l’originale sia stato buttato nella spazzatura poco dopo la sua prima esposizione pubblica perché considerato un oltraggio all’arte stessa. E a testimoniare la sua esistenza rimane soltanto una fotografia.

Si tratta di un tema fondamentale perché oltre al problema principale di attribuzione delle opere, l’unicità o meno di un’opera porta con sé anche altri problemi nella valorizzazione all’interno delle collezioni e nella valutazione dell’eventuale prezzo.

L’idea di produrre più di una versione di un’opera non è una novità per Duchamp. Anche il suo primissimo “readymade” una pala da neve pronta all’uso è stato perso.  Ora esiste in circa dieci repliche. E questo esempio riferito a Duchamp è solo un episodio dell’arte in cui una replica o una differente versione rispetto all’originale dell’opera è rimasta fino a noi. La storia racconta infatti di decine di altri episodi.  

L’opera d’arte deve essere unica in Scultura. Le opere di August Rodin

Ci piace pensare che le opere siano uniche – stabilite dall’artista una volta per tutte.  Ma una quantità sorprendente di arte ha più di una forma. Tra l’altro come dicevo prima la pratica di realizzare numerose copie di una scultura o di una stampa (note in quello specifico caso come multipli d’artista) è comune nell’arte contemporanea e non solo.  

Un altro esempio è l’opera più famosa di Auguste Rodin, Il pensatore, che può essere ammirata in dozzine di musei con almeno 25 repliche solo in Europa.  Il bacio dello stesso artista esiste in tre copie in marmo di grandi dimensioni, numerosi calchi in gesso e centinaia di calchi in bronzo.  Le sculture infatti sono spesso create e ricreate più volte.

Si potrebbe pensare che una scultura sia più semplice da replicare, e invece anche i dipinti possono essere prodotti in più versioni.  È abbastanza comune per un pittore fare copie aggiuntive del suo lavoro o presentare una serie di variazioni molto simili su un tema. Tale duplicazione era comune nel medioevo, quando gli artisti riproducevano la stessa scena biblica per diversi clienti.  E la pratica è continuata nel Rinascimento.

L’opera d’arte deve essere unica in Pittura. La gioconda di Leonardo

Prendiamo la Gioconda di Leonardo del Louvre. Anche quest’opera può essere trovata in versioni alternative.  La cosiddetta Isleworth Mona Lisa, dal nome del paese nei pressi di Londra in cui per molto tempo è stata conservata, sembra arrivare da un altro mondo eppure è attribuita a Leonardo. La protagonista è chiaramente la stessa donna nella stessa posa. Anche se le sue caratteristiche suggeriscono che in questo caso sia stata ritratta più giovane. 

Questo è un esempio perfetto del problema di attribuzione di un’opera che non è unica. La discussione sull’attribuzione dell’opera infatti è ancora aperta. 

L’originale in alcuni casi può essere in gran parte opera dell’artista, ma poi potrebbero essere realizzate copie aggiuntive dai suoi allievi o “seguaci”.  Questo è il motivo per cui spesso vediamo dipinti etichettati come “da un seguace di Rembrandt” o “dalla scuola di Tiziano”. I dipinti che a lungo sono stati pensati come il lavoro di un allievo di un artista sono talvolta solo successivamente attribuiti al maestro stesso.  Al contrario, un dipinto può essere declassato dagli storici dell’arte se emergono nuove prove, con grande disappunto di chi lo ha appena acquistato magari in asta.

I girasoli di Van Gogh

L’opera d’arte deve essere unica? Ci sono molte ragioni per la riproduzione della stessa opera in varianti.  A volte un’opera ha un tale successo che all’artista ne vengono commissionate ulteriori copie. Altre volte, il pittore ha solo voglia di esplorare un soggetto in modi leggermente diversi. 

Molti altri artisti hanno riprodotto diverse varianti dei loro dipinti. Un altro esempio sono I Girasoli di Van Gogh. Una delle opere più iconiche di sempre. Eppure la storia di questi splendidi capolavori è per ognuno unica e irripetibile. Sono simbolo di lealtà e devozione. I Girasoli rappresentano per Van Gogh una metafora dei suoi stati d’animo e narrano l’evoluzione della natura e della stessa vita umana. Sette sono le varianti, quattro dipinte nell’agosto del 1888 in attesa dell’arrivo ad Arles dell’amico Paul Gauguin per arredare proprio la sua camera da letto. Una di queste è entrata nella storia, semplicemente perché non esiste più!

Apparteneva fino alla Seconda Guerra Mondiale all’imprenditore giapponese Koyata Yamamoto e si pensa fosse la prima opera conosciuta dell’artista in Giappone. Andata distrutta lo stesso giorno degli attacchi di Hiroshima dai bombardamenti, ne è rimasta memoria grazie a una riproduzione degli anni Venti e una breve descrizione tratta dalle lettere dello stesso Van Gogh. Quindi l’opera conosciuta in tutto il mondo come Girasoli è in realtà sette diversi dipinti, sei dei quali sopravvivono ancora. La mia preferita è quella della National Gallery, ma anche quella Neue Pinakothek di Monaco non è poi così male. 

L’Urlo di Munch e le Ninfee di Monet

Questa non è una situazione unica. L’opera più famosa di Edvard Munch L’Urlo esiste in quattro versioni alternative, due delle quali sono in pastello anziché in pittura. E poi ci sono le Ninfee di Monet. La prima versione è stata realizzata nel 1897, per poi arrivare a un totale di quasi 250, la maggior parte delle quali con lo stesso titolo e lo stesso soggetto. 

Nel tempo, anche le repliche ravvicinate iniziano a variare nell’aspetto.  I pigmenti di un dipinto infatti possono sbiadirsi o modificare con l’esposizione alla luce. I cambiamenti di temperatura formano differenti crepe nella superficie.  Il restauro può alterare ulteriormente i toni. Dipinti duplicati inizialmente simili possono apparire completamente diversi secoli dopo.  

L’opera d’arte deve essere unica. L’Arte contemporanea

Le opere d’arte moderna e contemporanea sollevano anche questioni di autorevolezza e autenticità. La video arte, ad esempio, può essere copiata e visualizzata in più posizioni contemporaneamente.  Ciò pone sfide per curatori e collezionisti. Le opere scultoree e le installazioni utilizzano sempre più parti in movimento, elettronica e display visivi. Ne sono un esempio quelle di Nam June Paik come TV Buddha del 1974. In quest’opera viene utilizzata una TV a tubi catodici della quale non esistono più le parti in nessun luogo del mondo. Questi, inevitabilmente, si guasteranno ad un certo punto.  È sempre la stessa opera d’arte se si sostituisce il monitor, si sostituisce un componente o si aggiorna un sistema operativo?

Damien Hirst ha risposto da solo a questa domanda quando ha sostituito il suo squalo in formaldeide che si stava decomponendo a causa di una composizione in proporzioni sbagliate del fluido. Il progetto è stato finanziato dal compratore dell’opera, ma ha sollevato comunque un dibattito sull’integrità e l’autenticità della nuova opera. 

Sono tutte tematiche che rimangono aperte e che probabilmente si porranno sempre più fondamentali nel dibattito artistico man mano che l’arte assume nuove forme. Questo non vuol dire che un artista dovrà sentirsi limitato nelle sue creazioni per via di queste problematiche, ma che gli studiosi e soprattutto il mercato dovranno seriamente affrontare il tema. 

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