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Kunsthistorisches Museum Vienna

Kunsthistorisches Museum. Il museo di Storia dell’arte di Vienna è impossibile raccontarlo in spazi e tempi ridotti, va visitato. Un affascinante contenitore di capolavori dell’arte europea di tutti i tempi, la cui costruzione architettonica di forte impatto sorge sui viali del Ring ed è stata voluta dall’imperatore Francesco Giuseppe in persona.

Forse fin troppo vasto, il museo deve la sua storia alla famiglia degli Asburgo che in quattro secoli è stata in grado attraverso generazioni di acquisire e conservare opere d’arte dai primitivi fiamminghi al Quattrocento e Cinquecento italiano, o il Seicento e Settecento olandese ma anche spagnolo. Una quantità di opere da perdere il fiato.

Il biglietto di ingresso come molti dei musei viennesi è una voce del budget di viaggio che si fa sentire, ma credetemi ne vale la pena. Il ricco percorso si articola su più livelli ed è diviso in cinque macro sezioni: la Kunstkammer, la collezione di arte antica, la collezione egizio-orientale, la pinacoteca e il gabinetto numismatico.

Ingresso e prime sale

Appena entrati si viene immediatamente colpiti e attirati dallo scalone centrale monumentale e in particolare dal potente Teseo di Canova, che assorbe la luce e riempie la scena. Vi consiglio di non farvi distrarre immediatamente da quest’opera ma di cominciare il percorso subito alla vostra destra dalla prima sezione in ordine cronologico: quella antica.

Le prime sale sono dedicate alla collezione egizio – orientale con colonne papiriformi, brillanti colorazioni murali e vaste teche con sarcofagi e oggettistica antica. Da non perdere il rilievo in mattoni del Leone urlante nella VI sala, un capolavoro dell’arte babilonese.

Sezione di arte antica e camera delle curiosità

Proseguendo il percorso si arriva alla sezione di arte antica per lo più legata alle civiltà greca e romana. Un viaggio nell’antichità fatto di vasi, monete, teste scolpite e altorilievi con temi mitologici o caratterizzati da maschere teatrali. Qui vi consiglio la “Gemma Augustea”, un favoloso cammeo in pietra sardonica a due strati di epoca romana nella sala XVI.

Sempre su questo piano anche un’altra vasta sezione della collezione: la Kunstkammer, camera delle curiosità. Qui davvero troverete di tutto: oreficeria, vasi, sculture, bronzi, orologi e automi, conchiglie e gemme. Si potrebbe passare in cinque minuti un po’ stanchi di avere gli occhi pieni di innumerevoli vetrine stracolme di oggetti, ma non è così. Vale la pena soffermarsi su alcuni in particolare. Primo fra tutti la “Saliera” di Benvenuto Cellini nella XXIX sala. Un po’ nascosta la saletta, ma mappa alla mano non avrete problemi.

La Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum di Vienna

Conclusa la visita vi ritroverete nella hall e finalmente potrete farvi catturare dal Canova, che vi indica la strada verso la Pinacoteca al piano superiore. Salito lo scalone, l’ingresso consigliato è quello sulla destra, anche in questo caso girerete ad anello ma vi assicuro che seguire la numerazione sembra quasi un’esigenza altrimenti si uscirà infastiditi di non aver visto qualcosa a cui si teneva in questo mondo ricco di gemme preziose e imperdibili. I nomi noti sono molti dal XV al XIX secolo: Durer, Rubens, Van Dyck, Vermeer, Bruegel il Vecchio e gli italiani Tiziano, Raffaello, Bellini, Arcimboldo, Caravaggio e Canaletto. Impossibile raccontarli tutti, ma se avrete pazienza cercherò di approfondirne alcuni per fare un giro insieme ben studiato.

Per concludere, stanchi morti se volete vi aspetterà il Gabinetto numismatico all’ultimo piano. Sinceramente deve essere un’arte che vi appassiona particolarmente per decidere di fare un giretto dopo una scorpacciata del genere.

Ma ne sarà davvero valsa la pena? Un museo dal carattere personale e tragico, ma geniale al tempo stesso. Non potete perderlo.

3 opere da non perdere assolutamente

Torre di Babele di Pieter Bruegel il Vecchio – Sala X

Il tema della Torre di Babele è uno dei più interessanti tra quelli tratti da libri sacri.

Nel libro della Genesi (I – 10,11) ne viene narrata la storia: una storia di uomini, puniti per aver sfidato il loro Dio Jahvè. E la punizione per aver costruito “una torre la cui sommità giunga fino al cielo” sarà feroce: il Dio mescolerà le loro lingue e non saranno più in grado di comunicare fra loro.

Naturalmente è la leggenda delle differenze linguistiche tra popoli e in un mondo come il nostro, sempre in comunicazione, il tema rimane attuale.

Le prime rappresentazioni nella storia dell’arte di questa torre sono legate alle miniature quattrocentesche, ma lo stesso Bruegel ne realizza diverse versioni, di tre abbiamo certezza.

La prima è proprio questa del Museo di Storia dell’arte di Vienna, ma ve ne è una conservata al Museu Boymans – van Bueningen a Rotterdam e infine una versione su tavoletta d’avorio, purtroppo perduta.

La Torre di Babele del museo di Vienna, realizzata da Bruegel nel 1563 poco dopo il suo trasferimento a Bruxelles, è di certo la versione più maestosa.

Una gigantesca costruzione plastica riempie completamente lo spazio della rappresentazione: un colosso che sovrasta la città e si affaccia sul mare. Il modello indiretto utilizzato da Bruegel in particolare per la parte superiore è di certo il nostro Colosseo, ma numerosi sono gli spunti legati all’antico in questa costruzione che dialoga con la città ai suoi piedi.

Ciò che viene più spontaneo chiedermi davanti a questa imponente costruzione è: la città è costruita per la torre come se questa fosse un tempio pagano o la torre per la città come se invece ne fosse funzionale? Di certo gli uomini hanno voluto sfidare questo loro Dio…grandiosamente.

Allegoria della pittura di Johannes Vermeer van Delft – Gabinetto 17

L’Allegoria della pittura anche conosciuta come Il pittore nello studio di Vermeer è un’opera a noi oggi molto nota.  Non da sempre, però, essa è stata attribuita a questo grande artista olandese del Seicento.

Conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna dal 1946, essa è stata protagonista di numerosi passaggi, divenendo perfino proprietà di un sellaio agli inizi dell’Ottocento.

La storia narra che l’opera fu consegnata, alla morte dell’artista nel 1675, dalla moglie di Vermeer alla madre come rimborso per un prestito di 1.000 fiorini ricevuto l’anno precedente. Dai documenti della dichiarazione di fallimento dell’attività di mercante d’opere, che permetteva alla famiglia di Vermeer di sopravvivere a Delft, emerge però l’ipotesi che l’opera fosse stata ceduta alla suocera in maniera tale da prevenirne il trasferimento ai creditori.

Molti cercarono, infatti, di contestarne la proprietà e di venderla all’asta, tanto che alla fine del Settecento il quadro risulta parte della collezione del barone Gottfried Van Swieten, figlio del medico dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria.

Alla morte del barone i suoi beni andarono dispersi e il quadro arrivò nelle mani di un sellaio che lo rivendette al conte Johann Rudolf Czernin nel 1813 per soli 50 fiorini, scambiandolo per un’opera di Pieter de Hooch.

Un’attribuzione scorretta che però fa molto pensare, se si considera la capacità di Pieter de Hooch, contemporaneo di Vermeer, di costruire opere dalle strutture prospettiche complesse e talvolta forzate.

Una delle caratteristiche, infatti, di questo splendido dipinto è proprio lo studio della prospettiva, in questo caso sì studiata, ma semplice ed immediata grazie all’uso attento di luce e spazio.

La luce, chiara, abbagliante entra dalla finestra ed illumina sulla sinistra la giovane donna e pochi particolari del pittore, che, seduto davanti il suo cavalletto sulla destra, è avvolto nella penombra, intento a lavorare al ritratto.

Si crea un triangolo di linee scure fra la tenda e il pittore, al cui centro illuminata regna l’Allegoria della pittura, nella veste di giovane donna. La nostra completa attenzione si concentra su di lei, e ogni oggetto sembra farle da contorno. Anche le mattonelle bianche e nere del pavimento dirigono il nostro guardo nella sua direzione.

Più di una Allegoria. Questo quadro narra una storia, quella della dedizione di Vermeer, artista di cui si conosce poco, se non che fosse molto lento nella produzione e che vendesse raramente le sue opere.

Un omaggio alla pittura da parte dell’uomo Vermeer, vestito a festa per l’occasione. La figura essenziale del quadro, la vera protagonista avvolta dalla luce è lei: l’Arte. La contrapposizione di due mondi, il maschile e il femminile, la luce e le tenebre, il pittore e la modella che si ritrovano insieme in un’unica opera, fra le più attraenti, coerenti e calcolate di tutta la nostra storia dell’arte.

Madonna del Prato di Raffaello

È  il 1504 e il giovane Raffaello, appena ventunenne,  lascia Perugia per trasferirsi a Firenze. Qui è alla ricerca di un nuovi stimoli. Non può negare di aver imparato molto dal suo maestro: il Perugino, ma la necessità di innovare il proprio stile si fa sentire in lui sempre più forte.

È, quindi, a Firenze che si circonda di nuove amicizie e di mecenati. Uno dei più noti è legato a filo diretto con l’opera La Madonna del Prato (o Madonna del Belvedere) esposta oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Si tratta del nobile umanista italiano Taddeo Taddei che più volte ospiterà Raffaello nella sua dimora in via dei Ginori e che rimarrà a lungo proprietario dell’opera.

La composizione di questo lavoro, datato 1505, è ormai tipica dello stile maturo dell’artista, che riuscito ad affrancarsi dagli insegnamenti della scuola peruginesca elabora composizioni equilibrate, caratterizzate da purezza e sapiente armonia.

Il soggetto naturalmente, come si comprende dal titolo, è di carattere sacro: la Madonna al centro immersa nella natura è accompagnata da San Giovannino e dal Bambino Gesù.

I tre formano un triangolo quasi perfetto, dalla geometria attenta: se ne possono rintracciare i limiti estremi dal piede a sinistra del San Giovanni, su verso la testa di Maria e in chiusura sulla destra fino al piede della Madonna stessa.

Il modello è quello di Michelangelo e Leonardo, ma con una propria delicatezza che sarà tipica solo e soltanto di Raffaello. La Madonna appare serena, intenta ad osservare i due bambini e immersa in un contesto naturale. Il cielo azzurro ricorda i paesaggi nordici, ma anche il colore che a lei da sempre si associa e che naturalmente lei stessa veste in questa occasione: il blu.

In realtà non sarà l’unica versione realizzata in questi anni a Firenze da Raffaello. Ve ne sono infatti altre due. La madonna del Cardellino del 1506 conservata oggi alla Galleria degli uffizi di Firenze e la Belle Jardinière del 1507 esposta al Louvre di Parigi.

Non è difficile per noi immaginare il perchè del titolo Madonna del Prato, data l’ambientazione dell’opera ma meno immediato appare l’altro titolo con cui quest’opera è nota i più: Madonna del Belvedere.

Conservata gelosamente per anni dalla famiglia di Taddeo Taddei e nota ai contemporanei grazie alla seconda edizione delle Vite del Vasari in cui è citata (1568), l’opera è poi divenuta di proprietà dell’arciduca Ferdinando Carlo, principe del Tirolo, e consorte di Anna de’ Medici. Purtroppo i due ne poterono godere solo per un anno e alla morte dell’arciduca la Madonna venne conservata nel Castello di Ambras, per poi divenire nel 1773 parte della collezione del Belvedere di Vienna, da cui trae il titolo. Fa sorridere che oggi però essa sia esposta sì a Vienna ma non al Belvedere, bensì alla Pinacoteca del Museo di Storia dell’arte della città.

Informazioni utili

Orari di apertura:

Mar – Dom 10 – 18 Chiuso il Lunedì
Gio 10 – 21
da giugno a agosto aperto tutti i giorni anche il lunedì

Costo biglietto: 

Intero Adulti 15 €
Bambini e under 19 ingresso gratuito

Indirizzo:Maria Theresien-Platz, 1010 Vienna, Austria

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