ArtantheCities
ART TRAVEL
& MORE
Follow me

Search

A&tC Home Page

Decine di nazioni sotto lo stesso cielo, quello della città di Venezia e centinaia tra artisti, curatori e amanti dell’arte che si riuscono ogni due anni per la Biennale. La più grande delle esposizioni di arte contemporanea è tornata dopo una pausa causata dalla  pandemia e con lei sono tornati anche i giri tra padiglioni e mostre. Io sono Clelia e in questo articolo ti racconto i 6 migliori padiglioni nazionali della Biennale di Venezia 2022. 

Cosa è la Biennale di Venezia?

Partiamo dall’inizio e ricapitoliamo velocemente cosa è la Biennale. Si tratta di una grande esposizione nata alla fine dell’Ottocento e attiva fino ai giorni nostri. Si estende per tutta la città di Venezia e ha due sedi principali: l’Arsenale e i Giardini. Ogni nazione che decide di partecipare all’evento presenta uno o più artisti contemporanei che la rappresentano. Se vuoi scoprirne di più dai un’occhiata al mio articolo sul tema di quest’anno e la storia della Biennale.

Questa di oggi non è una classifica, in quanto non sarebbe possibile, ma una mia scelta personale sulla base delle opere e degli artisti che mi hanno colpito di più e che ritengo abbiano rappresentato al meglio il tema dell’esposizione nei padiglioni nazionali.

Il padiglione degli Stati Uniti d’America

Il primo padiglione che vi suggerisco si trova ai Giardini ed è quello degli Stati Uniti d’America. Simone Leigh che rappresenta questo Paese è anche la vincitrice del Leone d’oro come miglior artista di tutta la Biennale. Il suo lavoro è incentrato sulla rivalutazione della figura della donna e sul concetto di autonomia di scelta e autodeterminazione per tutti noi come società. Le opere all’interno fanno riferimento principalmente allo sfruttamento e alla condizione delle donne nere nel periodo della diaspora africana.

La cosa più interessante è che senza raccontarlo in maniera esplicita ma inserendolo nella guida, l’artista ha tratto tutte le immagini da fotografie d’epoca. Per fare un esempio, il padiglione stesso all’esterno è stato trasformato per somigliare a un palazzo dell’Africa occidentale degli anni Trenta presente in una foto. 

Lo stesso avviene con le opere. Sono tutte tratte da immagini fotografiche. L’Ultimo indumento, il primo dei lavori, che si incontra è tratto da un’immagine del Governo britannico nel periodo coloniale che invitava a visitare la Giamaica in quanto definita un “Paradiso tropicale”  in cui gli abitanti erano tutti disciplinati e soprattutto puliti. 

Bellissima al centro della rotonda, l’opera Sentinella che racconta dell’importanza nella cultura afroamericana dei Bastioni di potere. Questi oggetti spesso di forma umana si pensa racchiudano energia e facciano da guida. E questo in particolare ricorda il corpo di una donna quindi c’è anche un richiamo alla fertilità. 

Il percorso all’interno del padiglione non è di molte sale ma è fatto di spazi interessanti sia di video arte che per lo più di scultura. A me è piaciuta molto l’opera finale Credenza, che ricorda una campana di rafia ed è un po’ un misto fra architettura e corpo umano, come lo erano le Madonne della Misericordia se si vuole fare un parallelo storico. 

Il padiglione dell’Ungheria

Il secondo padiglione che vi consiglio, sempre ai Giardini, è quello dell’Ungheria. Di per sé è sempre stato uno dei più belli già architettonicamente. Poi ovviamente quello che fa la differenza è la scelta ogni due anni dell’artista che deve rappresentare il Paese. In questo caso si tratta di Sofia Kerestes. Il titolo che è stato dato al padiglione è “Dopo i sogni ho il coraggio di sfidare i danni”. 

I lavori sono tutti incentrati sul corpo umano ma soprattutto sulla sua trasformazione. Il chè ha senso dato il tema principale della Biennale, che è quello di ricreare storie e creature attraverso la propria fantasia e immaginazione. Mentre ero lì ho potuto seguire l’organizzazione del percorso di una guida che chiacchierando con una collega raccontava come la scelta dei colori pastello per queste opere sia legata strettamente al corpo umano. L’artista infatti ha scelto i colori predominanti del suo corpo, che in varie parti e organi possono essere ritrovati in qualche modo. 

Inoltre c’è una sorta di denuncia della trasformazione dei nostri corpi in questa specie di creature senza struttura a causa del nostro stile di vita contemporaneo, ma anche del rapporto tra di noi. Uno dei concetti filosofici che vengono citati nello spiegare le opere dalla curatrice è quello del Dilemma del Porcospino di Schopenhauer. Secondo questo principio bisogna mantenere la giusta distanza fra se stessi e gli altri per evitare di essere feriti, come per i porcospini che a causa dei loro aculei non possono avvicinarsi l’uno all’altro senza farsi del male.

Il padiglione a me è piaciuto moltissimo per via probabilmente di queste creature che dialogano tra di loro e sono unite da delle catene che iniziano ad un angolo della sala e lo attraversano, indicandoci anche un po’ il percorso. 

Il padiglione della Germania

Per il terzo padiglione rimaniamo ancora ai Giardini dove probabilmente ci sono la maggior parte di quelli che secondo me sono più interessanti. Andiamo in Germania. 

Qui non c’è moltissimo da dire, se non raccontarvi che il padiglione è completamente vuoto, sullo stile di quello della Spagna che vi ho fatto vedere nella nostra passegiata d’arte di cui vi lascio il link in descrizione. Comunuque il padiglione è vuoto, ma al tempo stesso dei lavori ci sono. 

L’artista scelta infatti Maria Eichhorn ha deciso di riportare alla luce le ossa della struttura, che ha una storia particolare. Ha subito nel tempo dei cambiamenti, fra cui una espansione voluta nel periodo nazista. Quindi quello che fa l’artista è il ritportare alla luce la costruzione originale del 1909 del padiglione bavarese che appunto poi nel tempo aveva subito delle modifiche. 

Inoltre, come eventi collaterali alla presentazione del padiglione stesso sono stati organizzati a Venezia dei percorsi di scoperta di alcuni  luoghi della memoria e della resistenza. Io sono venuta a saperlo sul momento quindi non ho avuto modo di partecipare, ma secondo me è una scelta interessante per andare oltre la visita del padiglione e approfondire. 

Il padiglione della Lettonia in Arsenale

Per il quarto padiglione ci spostiamo all’Arsenale. Si tratta di una delle due sedi a pagamento, insieme ai Giardini, ed è quella che accoglie l’esposizione principale collettiva Il latte dei sogni. 

Il padiglione che ho scelto è quello della Lettonia. Adesso vi racconto perchè. Per prima cosa si tratta della ricostruzione di una casa-studio d’artista tutta in ceramica: più di 300 opere di piccole e grandi dimensioni: vasi, piatti, intere pareti. E non si tratta di uno studio d’artista qualunque, ma di quello del duo Skuja Braden. 

Le due artiste stanno insieme da più di 20 anni, ma purtroppo a causa delle leggi omofobe del loro Paese, non possono legalmente sposarsi e hanno subito nel corso del tempo numerosi attacchi fisici. La selezione dei loro lavori è stata quindi considerata una scelta all’avanguardia per il Paese, considerando i racconti che le due donne hanno fatto nel tempo degli atti di omofobia che hanno dovuto appunto affrontare.  

Il padiglione fa riferimento, anche se non in maniera chiara, ad un’opera di Judy Chicago e Miriam Schapiro chiamata Womahouse, in cui venivano raccontate e descritte in una ricostruzione di una casa alcune mansioni considerate nella cultura occidentale prettamente femminili.

Tornando allo spazio della Lettonia, vuole essere una denuncia al femminile della geografia culturale e familiare quindi quella della casa ma anche della geografia politica e della situazione che si vive nei paesi dell’est Europa. Uno dei dettagli infatti è un vaso in ceramica con il viso di Putin lasciato per terra, lontano dagli altri oggetti e coricato. In realtà è stato realizzato prima dell’invasione dell’Ucraìna quindi non è da considerare una denuncia diretta, ma ovviamente fa parte dei temi della cultura lettone. 

Infine, tutti questi oggetti sono legati alla tradizione popolare della Lettonia, ma anche a simbolismi dell’intimità femminile, con scene erotiche e di celebrazione del corpo della donna. 

Il padiglione del Samì

Per raccontarvi del quinto padiglione facciamo un salto di nuovo ai Giardini, con una storia un po’ particolare. Il padiglione dei Paesi nordici infatti quest’anno si è trasformato nel Padiglione del Samì. Popolazione che io non conoscevo, ma che abita il Nord delle tre nazioni Norvegia, Svezia e Finlandia. Una popolazione indigena che vive molto a contatto con la natura e che basa la propria vita, struttura e ciclo proprio sul rapporto con il mondo che li circonda. 

La struttura di per sè dal punto di vista architettonico è rimasta la stessa con la grande vetrata principale che dà sui Giardini, il suo interno però si è trasformato per accogliere opere di pittura, scultura e video arte. 

Il tema principale è quello della spiritualità e del sapere e di come questo viene tramandato nel tempo di generazione in generazione. Anche per questa ragione all’interno dello spazio ci sono delle giovani donne Samì che raccontano ai visitatori della loro cultura e rispondono alle curiosità che possono nascere spontanee quando si viene a conoscenza di una nuova popolazione. 

A me oltre le opere è piaciuta particolarmente questa apertura culturale che i Paesi del nord hanno saputo dimostrare verso una loro popolazione indigena, e che ha permesso di scoprire qualcosa di nuovo, dare valore ad opere e artisti che altrimenti forse non si troverebbero così facilmente in altri spazi come le gallerie private o le fiere internazionali.

Il padiglione Italia

Ma chiudiamo, tornando per il sesto padiglione in Arsenale con l’Italia. Spesso è fra i miei preferiti e penso sia legato al fatto che si tratta del mio Paese di origine quindi probabilmente le opere e gli artisti che lo rappresentano raccontano di una cultura che conosco e in cui mi ritrovo. 

Il nostro padiglione quest’anno non presenta come era successo in passato diversi artisti, ma è da considerare una mostra monografica. Neanche una mostra ma gigantesca installazione. L’artista a cui è stato affidato il progetto è Gian Maria Tosatti, il quale ha deciso di creare questa sorta di mondo parallelo, surreale e a tratti inquietante ma in cui ci si immerge completamente fin dall’ingresso. 

Si fa un po’ di fila per visitarlo, perchè ha suscitato parecchio interesse sulle riviste e online e poi perchè si entra uno alla volta. Si è anche invitati a rimanere in silenzio per mantenere l’atmosfera. Il percorso inizia con una sala di macchine da lavoro giganti e ferme, spente e lasciate lì a prendere polvere ma con una radio di sottofondo con la canzone Senza fine di Gino Paoli. 

Si prosegue poi attraverso questa sorta di luogo abbandonato fatto di macchinari che danno però l’idea in alcuni momenti di essere lì pronti per essere utilizzati. E ci si sposta da uno spazio all’altro fin quando non si arriva in una casa spoglia, con all’ingresso solo un telefono nero e una finestrona che dà su un luogo di lavoro. Anche questo sembra abbandonato e mentre siamo invitati a rimanere in silenzio c’è anche la possibilità di scendere e sedersi ai macchinari da cucito che sono presenti ad ogni tavolo. 

Si intuisce quindi che è una vecchia fabbrica, che ha una sua storia, che noi stiamo attraversando ma non comprendiamo forse in pieno. Tanto che la conclusione del percorso ci porta in una sala fatta di macchinari industriali in cui c’è molto buio e acqua e in lontananza delle luci come se fossero delle persone su una barca e questo posto quindi non fosse abbandonato come avevamo creduto fin dall’inizio. 

Un’installazione che si fa vivere, attraversare e ci lascia davvero con mille emozioni diverse quindi un’ottima chiusura del percorso dell’Arsenale. E per noi anche la chiusura di questo articolo in cui vi ho raccontato i sei padiglioni della Biennale di Venezia che a me hanno catturato di più per tema, scelta delle opere o coinvolgimento emotivo.

Conclusioni

Se sei curioso di scoprirne di più sulla Biennale o addirittura di passeggiare insieme fra le opere ti suggerisco di dare un’occhiata alla serie di articoli dedicati in questo Speciale Biennale 2022. 

Se anche tu come me sei appassionato di arte, viaggi e mercato iscriviti al mio canale Youtube per non perdere i prossimi video. 

Grazie e alla prossima!

Ciao, se hai suggerimenti e consigli contattami sui social. Mi trovi sempre su Instagram, Facebook e Twitter. A presto!